Faccio entrare la gatta.
A casa mia i gatti non hanno nome, lei
è la gatta.
Entra spesso con me la sera, e questa è
una di quelle sere in cui mi rendo conto che esiste, e scelgo di
darle una carezza.
È una gatta selvatica: quando siamo
venuti qui era piccola, diffidente e non si lasciava avvicinare.
Un po' mi dispiaccio di non
accarezzarla mai, e mi chiedo cosa cavolo pensi, come sia la sua
vita, mi capita spesso con gli animali.
Abbassa la schiena, come per schivarmi:
un gesto che non ha mai smesso, il residuo automaticamente scattante
e staccante della sua selvaticità.
E allora mi chiedo un'altra cosa: mi
chiedo come sia possibile che ancora non l'abbia capito, che noi non
le faremmo mai del male.
Forse, quella carezza proprio la
infastidisce, è quell'orribile e schifoso contatto con quegli esseri
lumacosi che sono gli umani, ma è ciò che bisogna sopportare per
una calda dormita sui panni da lavare e una mangiata a sbattimento
zero.
Forse, allora, per vivere bene bisogna
scendere a compromessi, non volere tutto perfetto.
Equilibrio.
Significa che su uno dei due piatti c'è
qualcosa che bisogna sopportare.
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