giovedì 16 maggio 2013

Jag-Stang


Me la ritrovai lì davanti.
“Ma scusa Gianni, e quella cos'è...?”
“Una Fender Jagstang!”
“...”
“Non la conosci? L'ha praticamente disegnata Kurt Cobain!”
“Cazzo! Bellissima!”
E mi raccontò la sua storia.
Nonostante costasse relativamente poco, non potevo permettermela. Gianni la vendette, e io in un qualche modo me ne dimenticai.

Un paio di anni dopo mi richiamò lui: “Ti ricordi la Jagstang? Me l'hanno riportata in negozio, se vuoi puoi venire a provarla...”
“Tu mi vuoi male! Lo sai che se poi la provo la compro...”

La sua storia.
Kurt, strafatto, ritaglia il manico dell'immagine di una Mustang, e il corpo di una Jaguar; li incolla insieme su un foglio bianco. “Jag-stang”, ci scrive sotto, con una calligrafia tremolante, quasi distratta. Spedisce tutto alla Fender Inc. “Voglio una chitarra così”, ci scrive.
E loro gliela fanno, uguale, identica.
Peccato che il buon Kurt avesse incollato il manico leggermente storto, e la chitarra risultasse fuori asse, senza equilibrio.
Beh, loro gliela fanno così lo stesso: storta.

L'anno scorso ho tenuto a casa mia per più di un mese una Danelectro verdina, in prova. Suonava benissimo, e mentre la suonavo guardavo la Jagstang, azzurro acqua, e mi sentivo in colpa a pensare che fosse più bella. Non comprai la Dano, decisi di rimanere fedele alla mia vecchia amicona, convincendomi che quella fosse stata solo un'insensata sbandata.

Non sono uno di quei rocker che hanno un rapporto morboso con il proprio strumento, anzi. Spesso, mi dimentico che esiste.
Forse sarà perchè è un'outsider, una chitarra storta, strana: io amo ciò che non è convenzionale, che gli altri non capiscono.
Forse sarà il colore, poco aggressivo, leggero.
Forse il fatto che quella zoccola di Curtney Love si è presa i diritti, e quindi la Jagstang è fuori produzione, è solo mia.
Forse perchè quel pazzoide ci ha piazzato sopra un Humbucker e un Single Coil, dichiarando al mondo che le patatine fritte e la Nutella possono convivere.

Forse per quel gesto di libertà, quella visione, quell'assurdità geniale di unire due ritagli, che ancora oggi racconto questa storia a chi mi chiede della mia chitarra.

Colleghi, allievi, musicanti che incontro nel mio viaggio.

Mostro loro la scritta “Designed by Kurt Cobain” dietro la paletta, e mi compiaccio nel continuare a raccontare, nell'arricchire, nel nascondere.
Non so nemmeno più se questa storia è reale, ma non credo che sia questo l'importante.



La Gatta


Faccio entrare la gatta.

A casa mia i gatti non hanno nome, lei è la gatta.
Entra spesso con me la sera, e questa è una di quelle sere in cui mi rendo conto che esiste, e scelgo di darle una carezza.
È una gatta selvatica: quando siamo venuti qui era piccola, diffidente e non si lasciava avvicinare.
Un po' mi dispiaccio di non accarezzarla mai, e mi chiedo cosa cavolo pensi, come sia la sua vita, mi capita spesso con gli animali.
Abbassa la schiena, come per schivarmi: un gesto che non ha mai smesso, il residuo automaticamente scattante e staccante della sua selvaticità.
E allora mi chiedo un'altra cosa: mi chiedo come sia possibile che ancora non l'abbia capito, che noi non le faremmo mai del male.
Forse, quella carezza proprio la infastidisce, è quell'orribile e schifoso contatto con quegli esseri lumacosi che sono gli umani, ma è ciò che bisogna sopportare per una calda dormita sui panni da lavare e una mangiata a sbattimento zero.
Forse, allora, per vivere bene bisogna scendere a compromessi, non volere tutto perfetto.

Equilibrio.

Significa che su uno dei due piatti c'è qualcosa che bisogna sopportare.

Lamborghini


Mi sono appena lasciato alle spalle Sant'Agata Bolognese.
Uno dei tanti paesini nebbiosi ai confini della provincia, che si distingue per aver dato i natali a Nilla Pizzi, e per la sproporzionata presenza di un multisala e di un grosso festival rock estivo.
Continuo dritto su via Modena, poi svolto a sinistra e varco il cancello nero, uno spalancato preludio ad un neanche troppo elegante piazzale: piccolo, asfaltato, abbracciato da due aiuole curatissime.
Davanti a me la fabbrica, anche lei nera, ma di un nero lucido. E l'enorme scritta, famosa in tutto il mondo: Lamborghini.

Una volta vidi un film nel multisala di S.Agata, non ricordo se uno degli ultimi Batman o James Bond o roba simile. Il protagonista guidava una Lamborghini e io pensai: che roba.
Le facevano a meno di 100metri.

Nel piazzale c'è un uomo, anche lui vestito di nero. Mi accorgo avvicinandomi che ha lo stemma giallo sul petto. Penso: “cazzo che divisa figa che hanno gli operai qui”.
Si avvicina alla macchina, mi chiede chi sono, chi cerco, se ho un documento e mi invita cortesemente a parcheggiare fuori, nel parcheggio a 250metri, e di raggiungere la portineria a piedi.
Dev'essere una specie di buttafuori per macchine, ma non riesco ad inquadrare bene la sua mansione.

Ritorno a piedi alla portineria, saluto il buttafuori per macchine e gli chiedo se posso procedere.
Alla reception c'è una ragazza, occhi azzurri, vagamente slava. Mi chiede un documento, mi fa compilare una liberatoria. Mi applica un adesivo figurante “divieto di fotografare” sulla fotocamera dello smart phone. Non fa in tempo a pronunciare la fatidica “prego, può accomodarsi” che il mio uomo appare da una vetrata, seguito dal suo “corsista”.

“Ecco, si tratta di un paio di firme. Una qui, un'altra qui”.
“La ringrazio, arrivederci!”
“Buona giornata anche a lei!”

Esco da lì, con in mano la mia check-list, da reinviare a ManPower Formazione Roma.
15 euro per 10 minuti di lavoro, come tutor occasionale di un'agenzia interinale.
Non penso a niente, a parte che mi piace vivere qui.












Ogni cosa è anche il suo modo di nascondersi.